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  • Immagine del redattoreFulvio Floccari

Trattamento del rene policistico dell'adulto: Sanofi prepara una possibile rivoluzione?



Il Rene policistico dell'adulto è una malattia che colpisce circa 12.5 milioni di pazienti in tutto il mondo, dei quali circa 27000 in Italia. Occupa il quarto posto tra le cause più frequenti di malattia renale terminale in Italia.

Il trattamento standard oggi per questa malattia è rappresentato dal tolvaptan, farmaco rivelatosi efficace nel rallentare la progressione della malattia, ma che (a torto o ragione) impensierisce molti pazienti ed altrettanti medici per la potente azione diuretica del farmaco, che porta il paziente in terapia ad urinare molto abbondantemente.


Il tolvaptan blocca infatti il riassorbimento di acqua dalle urine, che alimentando la crescita delle cisti induce lo schiacciamento del tessuto renale e quindi la perdita di funzione.


Il Venglustat, la possibile novità nel cassetto di Sanofi, è invece un farmaco caratterizzato da un meccanismo d'azione completamente differente: la capacità di bloccare la proliferazione delle cellule che compongono le cisti. Il blocco della proliferazione cellulare passerebbe per l'inibizione della sintesi di glicosfingolipidi, iperespressa in caso di ADPKD.


Già nel 2010 si era infatti osservato come l'inibizione della sintesi di questa famiglia di molecole fosse capace di bloccare la crescita delle cisti in un modello sperimentale di rene policistico del topo .

Sanofi Genzyme ha così annunciato l'avvio di un trial randomizzato ed in doppio cieco che verifichi se il farmaco è efficace e sicuro anche in noi esseri umani. Il trial è in fase di arruolamento attivo e ad oggi non ne è stato pubblicato neanche il disegno clinico. Annunciato a maggio 2018, il trial dovrebbe concludersi per la fine del 2023.

L'ultimo aggiornamento sul sito clinicaltrials.gov è del 18 maggio 2020


Attenzione: il modello sperimentale di ADPKD nel topo non è esattamente la stessa malattia che osserviamo nell'essere umano e non è quindi detto che ciò che si è osservato nel roditore si verifichi anche nell'essere umano. Non disponiamo ad oggi di alcun dato clinico relativo allo studio: dobbiamo quindi aspettare per fare qualunque valutazione.


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